Tommaso d’Aquino

Tommaso d’Aquino raffigurato nel Polittico di San Domenico di Carlo Crivelli, 1476 (particolare)

Anno del signore 1269, guidati da Sigieri di Brabante imperversano a Parigi gli averroisti radicali che promuovono una versione estremizzata del pensiero di Aristotele: egli è quella autorità che sotto certi aspetti può contraddire perfino le Sacre Scritture. Contro di loro muovono le agguerrite truppe neoplatoniche di indirizzo agostiniano per cui la verità sgorga dal profondo del cuore. Le posizioni sono inconciliabili. Dopo stretto giro di consultazioni con il Signore che tutto il Creato infonde del suo amore, Sigieri viene raggiunto dalle prime scomuniche e per scampare all’inquisizione fugge ad Orvieto dove è riunita la corte papale che spera in qualche modo di ammansire. La giustizia divina è però inflessibile e gli cala sul capo per mano del suo segretario, il quale, impazzito d’un tratto, lo pugnala a morte.

E’ in questo clima di concordia e di raccoglimento spirituale che opera a Parigi Tommaso dei conti d’Aquino al suo secondo mandato in qualità di maestro reggente di teologia. Nato a Roccasecca, fra Sora e Cassino, attorno al 1225, viene destinato dalla nascita alla carriera ecclesiastica. A otto anni il piccolo Tommaso entra dunque nell’abbazia di Montecassino dove riceve la sua prima istruzione, quindi viene trasferito all’Università di Napoli quando Federico II, in piena lotta per le investiture, decide di fare dell’abbazia una fortezza militare.

“San Tommaso d’Aquino confortato dagli angeli” di Diego Velàzquez, 1631. La stanza è raffigurata realisticamente prendendo a modello quella in cui Tommaso fu fatto prigionerio. Si noti l’angelo che regge la cintura e in basso il tizzone ardente; sulla porta, sotto l’arco disegnato dall’ala, la bella saracena in fuga.

Diversamente da Agostino, che alla sua età andava per campi a rubar pere, Tommaso è un ragazzo a modo e a Napoli per occupare il tempo frequenta un convento di domenicani. Ne rimane totalmente affascinato. La sua decisione di entrare nell’ordine sconvolge però i piani della famiglia che coltivava l’idea di farne il futuro abate di Montecassino. Viene dunque rapito dai fratelli e invitato a trattenersi per due anni presso il castello di Monte San Giovanni, già proprietà di famiglia, per prendersi un po’ di tempo per pensare. Qui dapprima è la sorella che tenta di convincerlo ma ne rimane a sua volta conquistata tanto da maturare il desiderio di ritirarsi in convento. I fratelli decidono allora di passare alle maniere forti e tentano di corromperlo introducendo nella sua stanza una giovane saracena di bell’aspetto, ma il futuro santo la scaccia indignato brandendo un tizzone ardente prelevato dal focolare. Caduto in un sonno profondo per via dello shock, vede due angeli che gli stringono intorno alla vita una cintura liberandolo per sempre dagli appetiti sessuali. Tommaso riceve dal Signore la prima delle sue prerogative, egli è dal quel momento immune dal peccato.

La famiglia è costretta a capitolare. Su consiglio dei frati domenicani viene inviato a Roma dove il capo dell’ordine, il venerabile Giovanni Teutonico, lo porta con se a Parigi. Non avendo altri interessi che i libri, vi trascorre tre anni totalmente immerso negli studi, quindi viene trasferito a Colonia assieme al maestro fra Alberto, “il più sapiente in ogni campo”, il futuro Sant’Alberto Magno. E’ a Colonia che i compagni gli affibbiano il poco lusinghiero soprannome di “Bue muto”, ma il suo maestro interviene a difenderlo: «badate», dice, «perché i suoi muggiti presto si udiranno da un’estremità all’altra della terra!». Quando Teutonico chiede ad Alberto di spedirgli un giovane preparato per affidargli la cattedra di teologia, egli gli indica il nome di Tommaso che a Parigi ritrova il solito clima effervescente, e il divieto assoluto di commentare i libri di Aristotele.

Nel 1249 torna in Italia presso la corte papale di Orvieto in qualità di teologo pontificio. Qui incontra Guglielmo di Moerbeke, il quale, esperto grecista, traduce per lui le opere di Aristotele. Comincia a scrivere i libri più importanti della sua produzione e quei commenti allo stagirita che saranno poi presi a modello per le successive generazioni. Tornato nel 1268 a Parigi per il suo secondo mandato, vi promuove un pensiero che accorda le verità della rivelazione a quelle della ragione.

Nel 1272 viene chiamato a Firenze per il Capitolato generale dell’ordine domenicano, sarà il suo ultimo viaggio. Gli offrono di aprire una scuola a Napoli, nonché la carica di vescovo della città parnenopea, ma lui cortesemente rifiuta. L’anno successivo, mentre celebra messa, ha una visione che lo induce a liberarsi degli strumenti di scrittura: «Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto». La morte lo coglie non ancora cinquantenne all’abbazia di Fossanova, incamminato sulla via per Lione. Giorni prima era stato a Maenza presso la nipote Francesca che lo vede sempre più deperire e rifiutarsi di mangiare.

Il pensiero di Tommaso mette subito in chiaro una cosa: non vi può essere discordanza fra fede e ragione. Ciò che ha detto Aristotele, fino a quel momento autorità riconosciuta in campo scientifico, non può differire da quanto è rivelato dalle Scritture: il creato è uno solo, fede e ragione ne sono le sue espressioni. Sgomberato il campo dagli equivoci, Tommaso può dunque prendere in prestito da Aristotele gli argomenti che provano l’esistenza di un unico Creatore dell’universo. Li riassume in cinque vie: “Ex motu et mutatione rerum”, ovvero tutto ciò che si muove esige un primo motore da cui prendere le mosse; “Ex ordine causarum efficientium”, ovvero, se ogni cosa è a sua volta causata da un’altra, allora deve esistere una prima causa incausata, cioè che è determinata unicamente da se stessa; “Ex rerum contingentia”, e cioè se la qualità delle cose terrene è la loro possibilità di essere e non essere, l’intera realtà presa nel suo complesso deve pur muovere da un essere stante necessariamente, e cioè non imprevedibilmente esposto alla minaccia del nulla e del divenire; “Ex variis gradibus perfectionis”, ogni cosa è presente in natura secondo diversi gradi di perfezione, ascendendo verso gradi sempre più perfetti della realtà è dunque possibile giungere all’essere perfettissimo; “Ex rerum gubernatione”, o della necessità di una intelligenza che governa il mondo: ogni cosa in natura tende ad un fine, questo scopo generale non è presente nelle singole cose individuate ma concerne un’intelligenza superiore che di tutti gli scopi è regolatrice. In questi ultimi due argomenti riecheggiano quelle idee neoplatoniche giunte ad Aristotele per il tramite del suo maestro Platone.

Fatto santo, le sue spoglie, come d’uso fra i cristiani, vennero successivamente spartite per farne delle reliquie: il tronco principale, dopo essere stato inizialmente tumulato a Fossanova, finì nella Chiesa dei Giacobini a Tolosa. La mano destra raggiunse la chiesa di Santa Maria della Porta a Salerno, dove il santo soggiornò, e dove è conservato anche il libro originale sulla fisica di Aristotele. Questa mano venne amputata al santo su richiesta della sorella Teodora, che da tempo ne aveva fatta richiesta. Il capo del santo, invece, venne fatto probabilmente asportare dal pio abate dell’abbazia di Fossanova pensando che se mai il corpo fosse stato trafugato almeno se ne sarebbe conservata la testa. Inizialmente conservata a Priverno, venne poi trasportata a Tolosa per ricongiungersi al resto del corpo. La città natale di Roccasecca, in tutto questo via vai di rimasugli, rimase praticamente a bocca asciutta.